ORFEO di Claudio Monteverdi, con regia di Marco Bellussi accolta con successo nel Teatro Claudio Abbado di Ferrara |
"Orfeo è venuto in parente" di Athos Tromboni[http://www.gliamicidellamusica.net/] FERRARA - L'Orfeo di Claudio Monteverdi è venuto "in parente" a Ferrara venerdì 8 maggio 2015 (da queste parti si dice " a vàgh in parent" quando ci si reca a trovare gli zii o i nonni). Era la prima volta che la città estense accoglieva l'edizione integrale di quel lavoro, andato in scena il 24 febbraio 1607 prima nel palazzo ducale dei Gonzaga a Mantova, in forma privata, e alcune sere dopo replicato nel teatro della città virgiliana. Così avrà sorriso dal cielo Isabella D'Este (Ferrara 1474 - Mantova 1539) l'altra sera quando sulle tavole del Teatro Comunale "Claudio Abbado", a duecento metri in linea d'aria dalla torre dove nacque e dal Giardino degli Aranci di Castello Estense dove giocò bambina, è andato in scena quell' Orfeoche ella fortissimamente volle, quando era duchessa di Mantova. L'opera monteverdiana è proprio andata in scena. Non si è trattato cioè dell'esecuzione in forma di concerto come annunciato alla presentazione del cartellone d'opera, ma di una più funzionale "mise en éspace" del regista veneziano Marco Bellussi. L'orchestra era in platea, sul palcoscenico c'erano dei praticabili a più ripiani dove era sistemato il coro e dove agivano col recitar cantando i solisti, le quintine erano sostituite dai pannelli lignei della camera acustica, il fondale era un grande schermo dove il cambio di colore (il viola per la morte di Euridice, il rosso per la discesa di Orfeo nel regno dei morti, l'azzurro per il ritorno alla luce e così via) e la proiezione di grandi didascalie tematiche costituivano la cornice ambientale. In alto, sopra il proscenio, scorrevano i sopratitoli del libretto di Alessandro Striggio. Non è fuori luogo parlare di recita, anziché concerto, perché la mimica dei cantanti, le luci, il movimento, hanno dato all'Orfeo proprio quella dimensione. Bellussi ha lavorato con garbo e sensibilità, disegnando una mise en éspace pulita e tendente al gesto essenziale (pulizia ed essenzialità sono le caratteristiche di un grande regista come Bob Wilson) e il risultato è stato quello di una bella coerenza stilistica fra la musica di Monteverdi e il gusto di Bellussi. Il pubblico, numeroso, ha seguito lo spettacolo con grande attenzione e concentrazione, indice di una maturità musicale insospettata nei melomani del canto spinto che poco vogliono spartire col canto barocco e prebarocco morbido e suadente. |